Silvano

 

Sul capo che ha molto sofferto e sul petto livido sparga qualcuno la mirra*.

 

Quella del 29 giugno è stata l’ultima tua comunicazione inviata a mezzo posta elettronica a noi colleghi del Centro. Nella veste di coordinatore del gruppo, ci ragguagliavi sul lavoro svolto e concludevi nella tua consueta maniera “diretta” con un: “Saluti a tutti dal vostro giallo referente, e che Lanzoni - ogni tanto - mandi in onda Mellow Yellow”. Ad intendimento dei “non adetti” spiego che, nelle ore di apertura, dagli altoparlanti della sala di attesa del mio ambulatorio in particolare, viene diffusa musica la più varia, a volume esagerato, tanto che il dottor Simoni - suo malgrado, benchè distante di un mezzo corridoio - a fine giornata avrebbe potuto far relazione sulla successione dei brani riversati tanto sconsideratamente nell’etere di un pubblico edificio. Molti dei quali - e questo era il riferimento sottilmente ironico ed il mandato testamentario per il sottoscritto - di suo pieno gradimento. L’aggettivo “giallo”, che avevi calato anodino in affiancamento e con fare dialetticamente leggero come unico segnale di pericolo - come spia rossa accesa - connotava invece, drammaticamente, la irreversibilità del tuo stato e la direzione di non ritorno per i sensi esercitati di noi sanitari.

Ci avevi discretamente informati una gelida mattina d’inverno d’un anno e mezzo prima, della brutta avventura che ti era grandinata addosso inaspettatamente. Facesti piangere tutti.

E tutti, medici e infermieri, siamo da te stati illusi nel prosieguo - come se il male fosse stato riparato o comunque infinitamente dilazionata la sua stretta soffocante - tanto ci eri positivamente e allegramente sodale in cucinetta nelle brevi pause del caffè, assiduo di presenze all’appuntamento con i tuoi clienti in ambulatorio ed al domicilio, apparentemente sereno e rasserenante con gli altri per tutto il tempo fino a poche settimane fa.

Sei voluto caparbiamente rimanere in plancia, sul ponte alto della nave, spaziando nella ricerca della giusta rotta fino all’arrivo precipitoso del fortunale, non sottraendoti alle raffiche del vento impetuoso del dolore, alle onde gelide dello sconforto, all’abisso della solitudine che inevitabilmente si accompagna alla malattia esiziale che aveva preso stabilmente dimora nel tuo corpo; sfinendolo.

Anche l’altro ieri, al Seragnoli, in letto e sedato dalle droghe, avevi comunque un buon libro sul comodino e - pur provato all’inverosimile - non eri sconfitto; sembrava quasi che anche tu fossi in visita a qualcun altro infermo che abbisognava di una parola di sollievo e la attendeva, fiducioso, dal proprio curante.

Sei stato infatti il medico di tante famiglie di San Pietro in continuità con quanto operato prima da tuo padre Sanzio. E l’ideatore, il padre co-fondatore e, dalla concretizzazione 15 anni fa, il coordinatore “intra pares” – compito delicatissimo e difficilissimo - del nostro Centro. Hai avuto della Medicina Generale una visione precorritrice dei tempi che sono venuti a maturazione dopo; il tuo idealismo, la tua flessibilità intellettiva uniti al pregio della ponderazione “decantante le tensioni”, ha consentito a tanta progettualità illuminata di non far naufragio. Tralascio di citare poi il duro e periglioso impegno, non meno importante, profuso nella Residenza Santitaria Assistita Virginia Grandi e dimostratosi fecondo e naturale laboratorio di esperienza aggregativa.

Mi sembra impossibile - mi rifiuto di pensare - che domani mattina non arriverai come al solito preventivamente parcheggiando la macchina “dietro”, nello spazio riservato che è invece democraticamente di tutti, e poi ti affaccerai con la borsa di cuoio dal corridoio in fondo; farai una piccola sosta in guardiola per chiedere alla Francesca o alla Giovanna, alla Cristina o alla Manuela se ci sono nuove, e procederai risoluto oltre in direzione Bologna verso la porta del tuo studio, deciso all’abbraccio con i tuoi assistiti che ti stanno aspettando fidenti dall’alba. Pronto a donare tutto il meglio di te a loro per almeno cinque ore di filato. Avrai intanto fatto in tempo a sentire la  musica - sempre il meglio: Beatles - e la mia speranza sarà che ti possa essere compagna per la lunga giornata che ti attende.

Se proprio devo faticosamente e dolorosamente accettare che così non sarà, allora voglio ricordarti ancora com’eri – danzante - in quella foto attaccata alla porta scalcinata della “Bamba” di una volta. Foto di una festa di fine anno; tu sorridente, certamente euforico, con Bruno, Gianni, Piero, Vincenzo e altri giovani coetanei vestiti inappuntabilmente eleganti di nero e cravatta a farfalla. Ma tu meglio; anche perché la bellezza è un dono che parla da solo e non ha nessun bisogno di mediazioni.

Avevi un’espressione di felicità piena, di sintonia intelligente col mondo, di pacificazione universale che talvolta prendevi anche con noi mentre eravamo in pausa, in piccola turba di iniziati, dentro la cucinetta “di reparto” con il rumore disturbante di fondo dei trilli dei telefoni, il brusio diffuso delle persone in attesa e l’assillo della firma alle ricette della fidata Ivenca.

Se ti voglio più meditativo e maturo, faccio memoria invece di quegli immaginifici versi smagati ed irridenti di Boudelaire che ci recitavamo - d’intesa - reciprocamente in francese e con cui prendavamo virilmente e al contempo scherzosamente congedo dai grandi vecchi che ci lasciavano e che avevamo accompagnato, assistendoli, fino all’ultima ora. Mal tradotti suonano più o meno così: O morte \ vecchio Capitano \ è tempo \ tempo di disormeggiare la nave \ di partire…\ di affrontare l’oceano sconfinato \ l’incognita della procella…

Nella tua professione hai saputo essere un accumulatore “grande” di speranza, di fiducia, di affidabilità come testimonia lo sgomento diffuso, la piena del cuore e degli affetti - palpabile e trasversale - di tutto un paese alla notizia del tuo trapasso. La tua morte ci ha paracadutato nel vuoto delle domande esistenziali ineludibili che non hanno risposta razionale.

 

Molto di te resterà in noi. Passato per “contagio” diretto, per capillarità, per osmosi.

E per sempre.

 

*Alceo

 

Pietro Lanzoni

(CMG di San Pietro in Casale e Galliera, 14\ 07\09)

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